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La colonia penale di Castiadas

Sardegna Sud Est, Sarrabus

L’11 agosto del 1875 trenta detenuti provenienti dalla casa penale di San Bartolomeo a Cagliari sbarcarono nella spiaggia di Cala Sinzias e si stabilirono sul colle Praidis, compreso tra i corsi d’acqua Gutturu Frascu e Baccu Sa Figu. Iniziava così la storia della Colonia penale agricola di Castiadas destinata a durare fino al 1955.

Il territorio mostrava le tracce di antichi insediamenti umani: numerose le domus de janas, le tombe dei giganti e i nuraghi che testimoniano una millenaria operosità; ma in nessun momento della storia era stata avviata un’impresa di trasformazione paragonabile a quella ottocentesta. E’ sufficiente osservare la monumentalità degli edifici: le strutture destinate ai carcerati e agli agenti, l’ospedaletto, il caseificio, la cantina, le officine e gli ampi magazzini. Tutto intorno trecento ettari di terreno sottratto alla vegetazione spontanea e coltivato con tecniche agrarie moderne, 95 chilometri di strade, un reticolo imponente di mui a secco che delimitavano i poderi, i riceveri per gli animali: pecore e capre, mucche, cavalli.

Una vita sicuramente non facile, segnata dalla pena che ciascuno doveva espiare e dalle inevitabili ristrettezza della condizione carceraria; ma anche il contatto con un mondo naturale forte e la soddisfazione di vedere, giorno dopo giorno, i risultati del lavoro condotto in una situazione che restituiva il sapre della libertà.

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Per i detenuti in semilibertà e più disciplinati si trattava di un’istituzione “aperta”, infatti potevano trascorrere le giornate nelle foreste, dalle quali ricavavano il legname destinato a diventare carbone, nei campi coltivati, nei pascoli. I detenuti avevano modo di imparare nuove tecniche di allevamento e di coltivazione della terra; operava selezione genetica incrociando le vacche sarde con i tori di razza modicana e realizzavano i prati artificiali di erba medica.

La casa penale di Castiadas era in grado di produrre tutto ciò di cui aveva bisogno e anche di destinare all’uso esterno una parte della produzione. Le coltivazioni principali erano vigne, agrumeti, grano, cereali e legumi. I fitti boschi vennero in parte sfoltiti ed utilizzati per la produzione di carbone.

Si conta che nel 1918, nonostante le morti dei detenuti causate dalla malaria e dalle influenze la produzione di carbone fosse arrivata ai 1600 quintali e negli anni successivi questa soglia sarebbe stata superata. Agli inizi del novecento erano circa ottocento i detenuti che risiedevano nelle carceri, che intanto era diventata entità autosufficiente. Il detenuto doveva infatti sostentarsi con il proprio lavoro, e questo risultò uno dei metodi più efficienti per il successivo inserimento all’interno delle trame sociali.

Ancora oggi i documenti attestano la presenza della Cella Oscura, una stanza priva di luce e aria dove il detenuto sostava legato da ferri e camicie di forza. Si nutriva solamente di acqua e pane. Ancora più temibile doveva essere la Cella di Isolamento. Sei mesi lunghissimi, che il carcerato avrebbe trascorso in solitudine. Spesso questo genere di punizione portava o alla pazzia o suicidio.

Oggi l’area è sede del Museo del territorio e delle Antiche Carceri, il territorio deve molto all’opera di bonifica portata avanti obtorto collo dai detenuti, la costa che li vide approdare prende il loro nome per ricordare l’opera faraonica ancora oggi visibile, parliamo della costa dei rei, divenuta Costa Rei.

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